sabato 30 giugno 2007
Film al cinema: Hostel - Part 2
Tre studentesse americane di storia dell'arte a Roma decidono di concedersi una vacanza a Praga. Sul treno incontrano una conoscente che le convince ad andare con lei in un ostello sperduto in Slovacchia. Le tre accettano senza sapere che cosa le attende. Beth (Lauren German), Whitney (Bijou Phillips) e Lorna (Heather Matarazzo) sono giunte sul posto dove sono state catalogate e messe all'asta per essere vendute al miglior offerente.
Non è semplice dare un giudizio a questo ritorno dell’ostello maledetto, e non lo è per diversi motivi.
ATTENZIONE AGLI SPOILER!!!!!
Anzitutto è un numero 2: questo significa che ormai è evaporato l’effetto sorpresa, ci si aspettava una mano piuttosto pesante su torture, sevizie e macellerie varie, si cercava un di più, una novità, una sorta di orgia di emoglobina.
Eli Roth però si impegna e riesce a metà in questo intento, cioè proporre una storia già nota e con una sorta di clichè però in chiave diversa, più matura se vogliamo, anche se da uno scavezzacollo cinofilo fratellastro adottivo di Tarantino può sembrare strano.
Hotel 2 è meno “bello” del primo episodio, ci sono momenti di stanca, troppe spiegazioni forse, troppi tempi morti. Ma alcuni sono doverosi, perché non si tratta di allungare il brodo, ma di dare plausibilità, convincere lo spettatore, approfondire i personaggi, cercare di entrare nella psicologia delle vittime e dei carnefici, e in questo senso si tratta di un film migliore del precedente: il lavoro fatto sulle storie dei due aguzzini e in particolare sul personaggio della sfigata Matarazzo merita, ci si lascia prendere dai personaggi, cosa che nel precedente capitolo avveniva solo per il protagonista principale.
Però diciamolo, chi va a vedere Hotel (così come chi vuole i Saw o i surrogati del genere) cerca sangue, sbudellamenti, scene da coprirsi gli occhi, e qui ce ne sono indubbiamente di meno, o meglio sono concentrate nell’ultima mezz’ora, e lì c’è di che divertirsi, eccome!
Anche qui però una precisazione: la violenza anche se è meno palese, meno evidente, è comunque forte… basta pensare all’omicidio di un bambino, un infanticidio crudo, a freddo.
Soprattutto Hotel 2 continua a colpirci allo stomaco per la sua atmosfera malata, angosciosa, claustrofobica, senza spazi aperti, chiusi in un treno, in una stanza o in una sala di tortura.
Tremendamente affascinante il primo omicidio, una dark lady of the blood che come le streghe delle migliori tradizioni popolari decide di farsi un bagno nel sangue, fendendo per aria una falce, memore della contessa Bathory… Una signora della morte, nella miglior tradizione del gore d’annata.
E che dire dei due fratelli? Un "buono" diventa in realtà il più sadico dei due, in un raptus di pura follia, mentre quello ideatore del macabro piano, in realtà solo voglioso di provare qualcosa di “nuovo” , spacca a metà da una motosega circolare e tenta invano di andarsene.
Roth si diverte col macabro e con l’umorismo, che sfocia ovviamente nel sadismo, soprattutto quando si assiste ad una partita a calcio molto particolare…
Cita Craven e il suo Il serpente e l'arcobaleno con una castrazione ben visibile e completa che pare uscire dalla serie di Cannibal ferox, e fa fare ai miti seventies italiani ciò per cui sono diventati celebri, in un grande omaggio alla serie Z made in Italy: la Fenech è una professoressa, Luc Merenda dei poliziotteschi all’italiana è un investigatore, Ruggero Deodato è (appunto) un cannibale con tanto di tavolo e candela accesa…
La vita umana è un business, tutti disposti a sfogare le proprie frustazioni, comprando e pagando qualsiasi cosa, in cerca di una minima emozione: comprare un corpo umano e vederlo piangere, soffrire, sanguinare, morire.
E quando la giovane protagonista, che ha capovolto la situazione col suo torturatore urla quella frase terribile che è "Mi compro la mia libertà", perchè tanto ha soldi a palate, scatta un brivido: poverina, credeva di essersi davvero comprata la libertà, ed invece è rimasta intrappolata in una rete di violenza e sangue, in un circolo vizioso, in cui il suo primo obbligo è quello di farsi “torturare” con un tremendo tatuaggio di un cane bracco sulla schiena…
Essere liberi significa entrare in un altro giro, in un'altra "gabbia". La vendetta poi segue naturale, è appagante, ma non è definitiva, e lascia con l’amaro in bocca.
“Chi ha più soldi degli altri decide chi vive e chi muore".
Nell’epoca del capitalismo siamo tutti belve, siamo tutti feroci, crudeli, spietati.
Homo homini lupus, anche nell’horror.
venerdì 29 giugno 2007
Open your eyes...
... e ovviamente il film originale, Apri gli occhi di Alejandro Amenabar!
Che dire… anche questo Vanilla Sky, seppure bastonato dalla critica e ancora di più dal pubblico, è uno dei film che non posso escludere tra quelli da me preferiti… Il bel faccione di Tom Cruise campeggia sul muro di camera mia…
Un film surreale, realizzato benissimo e con una fotografia da Oscar a dir poco.
La trama, praticamente ricalcata pari pari dal film spagnolo originale, arricchisce questo remake di situazioni e di immagini, momenti surreali, scene sospese tra realtà e sogno, tra il dormiveglia e il risveglio (la scena iniziale in una Times Square deserta è fenomenale), tra la vita e la morte, tra dubbi e zone d’ombra che saranno chiariti solo nel sorprendente finale, dalla cima di un grattacielo e sotto un cielo vaniglia stile Monet…
La vita si mescola con i sogni, l'inconscio e il subconscio del protagonista si materializzano, la vita diventa incubo…
Lo spettatore si perde continuamente e solo alla fine i pezzi del puzzle si ricompongono, le immagini sono chiarite, i personaggi sono svelati, e un volo finale chiude il cerchio.
Le idee confuse e mescolate si riorganizzano e trovano la loro collocazione. Nulla è lasciato al caso.
E indovinate chi dà allo spaesato Tom Cruise (mai così bello, seppure sfigurato e sotto una maschera per buona parte del film) una iniziale spiegazione? La DIVINA Tilda Swinton, versione manager multinazionale di una agenzia molto particolare, e centro della storia….
Ogni minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto completamente...
Un film ipnotico, zeppo di particolari, pieno di riferimenti alla musica, al cinema, alle immagini, con diversi piani narrativi intrecciati (o sarebbe meglio dire FUSI) l’un con l’altro, spiazzanti e che richiedono una seconda visione per poterli assaporare come si deve.
Il cast è eccezionale, oltre a Tom c’è Penelope Cruz (nello stesso ruolo di Apri gli occhi), Cameron Diaz ("la donna più triste che abbia mai tenuto in mano in Martini", “cattiva” ma innesco di tutta la vicenda) e l’immenso Kurt Russell (anche lui in un ruolo “sospeso” e chiarito solo alla fine).
La colonna sonora è formidabile, da non togliere più dallo stereo, con pezzi di REM, Radiohead, Paul Mc Cartney, Jeff Buckley, Sigur Ros, Chemical Brothers…. E Cameron Diaz! Esatto, nella soundtrack c’è il brano I fall apart cantata da una certa Julianna Gianni… Che altri non è che appunto la Diaz (che nel film si chiamava proprio Julianna – Julie – Gianni e che mostra appunto a Tom Cruise la copertina del suo singolo chiedendogli di commentare la canzone!).
Le scene finali, sulle note di Njosnavelin (The nothing song) mentre Tom dice a Penelope:
“Ci rivedremo quando saremo due gatti” non si scordano.
Basta aprire gli occhi e non accontentarsi di un sogno lucido...
giovedì 28 giugno 2007
Quanto amo questa donna?
Eh bhè, da Panariello alla Nicoletta direi un bel passo avanti!
Intanto mi sa che il Brain Training lo compro anche io...
Quando si dice il potere della persuasione pubblicitaria! :D
martedì 26 giugno 2007
Movie of my life
Insomma, quelli che mi hanno accompagnato in tutti questi anni e idealmente mi porto sempre in saccoccia per continuare a vederli e sognare, spaventarmi, sperare, ridere, emozionarmi, piangere. Le mie passioni, i miei "mai più senza"...
Eccoli qua, rigorosamente in ordine sparso!
sabato 23 giugno 2007
Film CULT: Sin City
Basin City, confidenzialmente Sin City, è una città che fa onore al suo soprannome, quintessenza del marcio, della corruzione, della violenza e delle depravazioni che caratterizzano le società metropolitane. Tra le vie buie e piovose, i vicoli lerci, i locali d'infimo d'ordine, gli squallidi appartamenti che ne costellano la topografia si muovono - dirompenti o silenziosi, a seconda dei casi - killer e prostitute, poliziotti onesti e corrotti, ladruncoli e maniaci, mentre arroccati nelle loro fortezze i potenti senza scrupolo che la governano li osservano da lontano.
L'incontro tra questi mondi, tra questi poteri, tra questi personaggi, è spesso letteralmente esplosivo a Sin City: e allora capita che un bestione mezzo sciroccato di nome Marv dia il via ad una feroce vendetta per scoprire gli assassini di una prostituta che è stata l'unica donna a fargli sentire il calore dell'amore. Capita che un poliziotto onesto metta sul piatto la sua vita per salvare una bambina da un pedofilo figlio di un onnipotente senatore, che finisca in prigione e perda la reputazione per crimini mai commessi per proteggerla e che dopo anni di galera la ritrovi bellissima e sensuale ma ancora in pericolo. Capita che un ex fotografo e killer debba aiutare la comunità di prostitute della città vecchia a coprire l'omicidio "accidentale" di un poliziotto, rischiando una guerra contro la Mala.
Tutto questo avviene nella città di Sin City, nella splendida serie di graphic novel di Frank Miller e in un film innovativo e dirompente come quello diretto da Robert Rodriguez con la collaborazione dello stesso Miller (c'è anche Quentin Tarantino).
Quello di portare al cinema Sin City era un vecchio sogno del regista texano, sogno visionario che ha realizzato nella maniera più completa che si potesse pensare grazie alle tecnologie digitali, girando tutto il film con attori in carne ed ossa su un set fatto interamente di green screen e ricreando la città e i suoi luoghi grazie al computer. E tanto per essere precisi le storie del fumetto portate sul grande schermo sono quella del primo albo, "The Hard Goodbye" (in Italia pubblicato semplicemente col titolo "Sin City"), del terzo "Un'abbuffata di morte" e del quarto "Quel bastardo giallo".
Portare al cinema abbiamo detto. Il film di Rodriguez fa esattamente questo: porta, trasporta le tavole di Miller, il suo stile, le sue atmosfere, i suoi dialoghi, i suoi personaggi dalla carta stampata al grande schermo. Non adatta, non traduce, non traspone: sposta. L'operazione del film, se da un lato denota un rispetto incredibile per l'originale stabilendo una nuova, pesantissima pietra di paragone per i rapporti tra cinema e fumetto, dall'altro si rivela anche coraggiosa.
Opera già cinematografica di per sé, con il suo evocare, esaltare e estremizzare l'estetica e l'ideologia del noir hollywoodiano, con il suo utilizzare le bicromie del bianco e nero.
L'uso delle tecnologie digitali in Sin City conferma poi come Rodriguez ne sia uno dei più attenti e sensibili interpreti nel panorama cinematografico contemporaneo. Le scenografie, l'intera Sin City ricreata digitalmente (con una splendida fotografia) hanno un valore che va oltre il mero fatto tecnologico legato alla realizzazione di un intero film grazie al green screen, ma si va ad inserire nell'ottica della traduzione filologica dell'opera di Miller, in quella dell'aderenza e somiglianza tra due medium.
In questo scenario si muovono poi gli attori che con inquietante mimetismo danno vita ai personaggi delle storie: Rodriguez ha capito quindi sia le potenzialità del digitale che i suoi migliori campi di utilizzo, senza mai dimenticare la centralità dell'elemento umano nell'atto attoriale.
Sin City è un film affascinante, avvincente e convincente per la sua forma e per il suo contenuto; ma è anche una delle migliori opere che dimostrano e svelavano nuove e enormi potenzialità offerte dall'ibridazione cinema-fumetto e alle loro reciproche influenze. Un'opera che nel suo forte ma mai eccessivo utilizzo delle tecnologie digitali è un ottimo esempio, quasi sperimentale, delle prospettive e delle possibilità del cinema del futuro.