Anni 80'. Georg Dreyman, drammaturgo, e Christa-Maria Sieland, sua compagna ed attrice famosissima, si trasferiscono a Berlino Est. I due sono considerati fra i più importanti intellettuali dal regime comunista anche se non sempre sono in sintonia con le azioni intraprese dal partito. Quando il ministro della cultura, vede uno spettacolo di Christa-Maria, se ne innamora e darà l'incarico ad un suo fidato agente di seguire la coppia ed osservare i loro interessi. [...] E’ ciò che accade a Gerard Wiesler: privo di una propria esistenza soddisfacente, si appropria di quelle altrui. Se all’inizio il suo atteggiamento è quasi voyeristico, man mano che questa conoscenza unilaterale e totale, che comprende anche i momenti più intimi dell’esistenza di Georg Dreyman, si approfondisce, la posizione dell’uomo cambia, muta lo sguardo e l’angolo di percezione. La sua non è più osservazione ma partecipazione, compassione nel senso etimologico del termine, verso due destini segnati.
Visto stasera questo meraviglioso Le vite degli altri, film che ha vinto quest'anno l'Oscar come miglior film straniero soffiandolo via dal superfavorito Il labirinto del fauno (che a dispetto dell'entusiasmo generale non mi aveva conquistato).
Un vero CAPOLAVORO.
Sapevo di andare a vedere un grande film, e caspita, non è un gran film, ma un film ENORME. Ed è stato una continua rotazione di emozioni e di sentimento, di occhi sgranati, palpitazioni a mille, momenti di serenità, ansie opprimenti e liberazioni improvvise.
E' vero che mi immedesimo fin troppo nei film e mi butto a capofitto in qualsiasi pellicola, ma è talmente "strano" per un film del genere, un'opera prima (!) e con un contesto come la DDR, Repubblica Democratica Tedesca (praticamente vicino ma sconosciuto), trovarsi a sorridere con espressione un pò imambolata o mettersi una mano davanti alla bocca per la sorpresa, magari stringere il bracciolo del sediolino del cinema per la tensione. Ho fatto tutto. Incredibile.
L'inizio, la fine e il cuore. Un incipit alternato che è solo da applausi e già da pugno nello stomaco, un finale, anzi più conclusioni che sono PERFETTE nel loro ricomporre senza spiegare troppo, nelle frasi minimali che vengono pronunciate, nel silenzio delle espressioni degli attori, negli sguardi che pur non incrociandosi se non attraverso un cartellone in libreria dicono più di mille parole. Amarezza e speranza si uniscono in 15minuti di pellicola e... vabbè, non so più cosa dire.
Bella questa recensione di 35mm.it
"Le vite degli altri" è un film che sa dare voce ai sentimenti, tutti. Dall'amore al terrore, dall'amicizia all'opportunismo ma finisce col raccontare un'epoca storica recente (siamo nel 1984). Viene, così, descritto un popolo che ha imparato a vivere in funzione della paura perché la Stasi, la terribile Polizia di stato, controlla ogni singolo gesto, ogni singola parola. E tutti sanno di essere spiati. Ma se Peter Weir in "The Truman show" disegna un Grande Fratello tragicomico qui, Florian Henckel von Donnersmarck descrive un incubo senza ricorrere a sensazionalismi o a scene cruente. Non c'è sangue ma tutto può diventare colpa: da una battuta di spirito all'innocenza di un bimbo. E' la regola del gioco nella Germania della guerra fredda, del muro di Berlino. Ma non è tanto un regime politico a salire sul banco degli imputati quanto l'uomo come individuo razionale e capace di scegliere.
E lui che sa dare al male sfaccettature impensabili ed è sempre lui a piegare ai suoi desideri ogni forma di rapporto, che sa usare potere e dittature a suo vantaggio.
Sorretto da una sceneggiatura acuta ed intelligente von Donnersmark gioca sul piano della trasposizione: è la spia a soggiacere alle scelte e alle trasformazioni delle sue vittime.
Qui la sindrome di Stoccolma si rovescia ed è il capitano Gerd Wiesler (uno splendido Ulrich Muhe che Costa Gravas volle nel 2002 nel suo "Amen") a subire la forza rivoluzionaria dell'arte ed il coraggio quotidiano delle sue apparenti vittime. "La vita degli altri" è il film che non ti aspetti e non ti potresti aspettare ad un'opera prima di un neodiplomato della scuola di cinema di Monaco. Non è un film rassicurante ma ti lascia il cuore pieno di speranza perché dove tutto sembra eterno e ineluttabile nero e lì che già sta trovando spazio il cambiamento e nuova luce.
Al suo esordio nel lungometraggio, Florian Henckel-Donnersmarck s'inventa la sceneggiatura perfetta, una lenta discesa nell'animo umano dentro le prigioni di un regime, e conquista meritatamente un Oscar per il Miglior film straniero e numerosi altri riconoscimenti che rendono giustizia ad un film destinato a restare nel cuore degli spettatori. La regia è asciutta, tutta concentrata sulle interpretazioni magistrali dei protagonisti che sanno farsi trovare sempre pronti ad ogni cambio di tono, a questo continuo sovrapporsi di dramma e commedia che porta fin nel profondo dei personaggi.
"Le vite degli altri" arricchisce il filone storico della filmografia tedesca ed è il primo film ad essere girato negli archivi originali degli ex quartier generali della Stasi di Normannenstrasse a Berlino.
2 commenti:
Amavo il vostro blog, esso sono molto piacevole.
Amo l'alimento italiano.
By
che bello questo film... fa pensare... troppo...
esterina
Posta un commento