La pellicola, ambientata in Francia e a Praga, ripercorre i drammi e le gioie di una delle leggende della canzone francese e internazionale, Edith Piaf. Nata nei sobborghi parigini, la diva diventa famosissima fin da giovane. La sua voce, caratterizzata da mille sfumature, era in grado di passare da toni aspri a toni dolcissimi. Molte le sfortune e i fatti negativi: incidenti stradali, coma epatici, interventi chirurgici, delirium tremens e anche un tentativo di suicidio. Il film di Dahan ricostruisce bene una delle sue ultime apparizioni pubbliche in cui appare piccola e ricurva, con le mani deformate dall'artrite e con radi capelli. Solo una cosa era rimasta inalterata e splendida: la sua voce.
Non ! Rien de rien
Non ! Je ne regrette rien....
Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal
tout ça m’est bien égal !
Si comincia dalla fine, con il profilo di una piccola donnina, una signora anziana anzitempo (la Piaf morì a 48 anni, ma ne dimostrava 70), gli occhi blu malva un po’ sporgenti e pieni di luce, i capelli radi, il corpicino curvo e deformato dall’artrite, le mani che danzano nell’aria e un profilo minuto che crolla in scena a New York, e si torna all'inizio di tutto, a un’infanzia che sembra uscita dal peggior melodramma, con una madre cantante di strada, un padre saltimbanco che la affida alla nonna, l’infanzia passata fra le ragazze del bordello che gestisce.
Edith dalla salute malferma perde la vista per riacquistarla dopo un pellegrinaggio sulla tomba di Santa Teresa di Lisieux, conquista a soli dieci anni il suo primo applauso cantando la Marsigliese in mezzo ad una strada.
Una vita di miseria, tragedie, successo ed eccessi narrata davvero bene da Dahan, che riesce a commuovere per mezzo di una narrazione sentita e accorata, e a tenere viva l’attenzione grazie ai continui salti temporali che abilmente annientano la cronologia lineare degli eventi al fine di fotografare al meglio gli stati d'animo e la personalità di una grandissima artista e della sua vita sempre sospesa tra felicità e autodistruzione, eccessi e volontà suprema.
Segni di una vita vissuta intensamente e marchiata dagli eventi.
Edith Giovanna Gassion diventa la môme, poi Louis Leplée (Depardieu) la ribattezza Piaf, il passerotto nell'argot parigino. Nonostante l'aspetto la sua voce è possente, arriva dritta all'anima, le sue canzoni sono epocali, il successo totale.
Una donna egoista, tirannica, ma anche estremamente generosa, un' icona della musica, una volontà d'animo ferrea, un tumulto di passioni, manie, ossessioni, emozioni che si mescolano e esplodono dentro di lei.
Intanto continua lo slalom fra le epoche, l'infanzia si mescola a una vecchiaia apparente consumata dall'alcol, dalla morfina, dal dolore, si assiste la nascita leggendaria di certe canzoni (La foule, Je ne regrette rien), l'amore immenso e tragico per il pugile Marcel Cerdan, anche lui con un destino che pesante.
E il lungo piano sequenza in cui Edith si illude di averlo accanto è da brividi, un vero colpo al cuore. Una sequenza che non si dimentica e prende l'anima.
E poi la droga, l'America, l'Olympia, i dolori più segreti.
Marion Cotillard cancella la sua bellezza, quella che aveva fatto capitolare il freddo broker Russel Crowe in Un’ottima annata e che aveva fatto capolino in Big Fish (era Josephine, fidanzata di Billy Crudrup, figlio dell’anziano Finney), si sottopone ad estenuanti sedute di trucco e, ma mai ridicola, invecchia, ringiovanisce, canta in playback, si confronta con la vera Piaf, diventa La mome senza mai cadere nel patetico o nel kitsch, naturale quando è sopra le righe, ugualmente forte nelle sequenze dimesse, senza mai cadere nell' imitazione o peggio nel grottesco.
Il film sta in piedi sulle sue spalle strette e curve di donna piegata dai lutti e dal dolore di vivere, che danno lustro ed energia a quello che poteva diventare, a due ore e venti di lunghezza, il solito classico cinepolpettone.
Belle anche le apparizioni di Emmanuelle Seigner nella parte di Titine, prostituta dal cuore d'oro che s'affeziona morbosamente alla bimba.
E di Caroline Sihol che veste con coraggio i panni di Marlene Dietrich, per mettere in scena il breve ma storico ed emozionante incontro tra le due voci più simboliche del dopoguerra. Applausi.
Il risultato è un mélo robusto e spesso commovente.
'Non, je ne regrette rien', ideale testamento artistico della Piaf, col suo splendido testo (debitamente sottotitolato dal distributore italiano) racchiude il significato di una vita intera.
No, niente di niente.
No, non rimpiango nulla.
Nè il bene che mi hanno fatto nè il male ricevuto...
Mi va tutto bene ugualmente.
No, niente di niente, non rimpiango nulla
perchè la mia vita
perchè le mie gioie
oggi cominciano con te...
Non ! Rien de rien
Non ! Je ne regrette rien....
Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal
tout ça m’est bien égal !
Si comincia dalla fine, con il profilo di una piccola donnina, una signora anziana anzitempo (la Piaf morì a 48 anni, ma ne dimostrava 70), gli occhi blu malva un po’ sporgenti e pieni di luce, i capelli radi, il corpicino curvo e deformato dall’artrite, le mani che danzano nell’aria e un profilo minuto che crolla in scena a New York, e si torna all'inizio di tutto, a un’infanzia che sembra uscita dal peggior melodramma, con una madre cantante di strada, un padre saltimbanco che la affida alla nonna, l’infanzia passata fra le ragazze del bordello che gestisce.
Edith dalla salute malferma perde la vista per riacquistarla dopo un pellegrinaggio sulla tomba di Santa Teresa di Lisieux, conquista a soli dieci anni il suo primo applauso cantando la Marsigliese in mezzo ad una strada.
Una vita di miseria, tragedie, successo ed eccessi narrata davvero bene da Dahan, che riesce a commuovere per mezzo di una narrazione sentita e accorata, e a tenere viva l’attenzione grazie ai continui salti temporali che abilmente annientano la cronologia lineare degli eventi al fine di fotografare al meglio gli stati d'animo e la personalità di una grandissima artista e della sua vita sempre sospesa tra felicità e autodistruzione, eccessi e volontà suprema.
Segni di una vita vissuta intensamente e marchiata dagli eventi.
Edith Giovanna Gassion diventa la môme, poi Louis Leplée (Depardieu) la ribattezza Piaf, il passerotto nell'argot parigino. Nonostante l'aspetto la sua voce è possente, arriva dritta all'anima, le sue canzoni sono epocali, il successo totale.
Una donna egoista, tirannica, ma anche estremamente generosa, un' icona della musica, una volontà d'animo ferrea, un tumulto di passioni, manie, ossessioni, emozioni che si mescolano e esplodono dentro di lei.
Intanto continua lo slalom fra le epoche, l'infanzia si mescola a una vecchiaia apparente consumata dall'alcol, dalla morfina, dal dolore, si assiste la nascita leggendaria di certe canzoni (La foule, Je ne regrette rien), l'amore immenso e tragico per il pugile Marcel Cerdan, anche lui con un destino che pesante.
E il lungo piano sequenza in cui Edith si illude di averlo accanto è da brividi, un vero colpo al cuore. Una sequenza che non si dimentica e prende l'anima.
E poi la droga, l'America, l'Olympia, i dolori più segreti.
Marion Cotillard cancella la sua bellezza, quella che aveva fatto capitolare il freddo broker Russel Crowe in Un’ottima annata e che aveva fatto capolino in Big Fish (era Josephine, fidanzata di Billy Crudrup, figlio dell’anziano Finney), si sottopone ad estenuanti sedute di trucco e, ma mai ridicola, invecchia, ringiovanisce, canta in playback, si confronta con la vera Piaf, diventa La mome senza mai cadere nel patetico o nel kitsch, naturale quando è sopra le righe, ugualmente forte nelle sequenze dimesse, senza mai cadere nell' imitazione o peggio nel grottesco.
Il film sta in piedi sulle sue spalle strette e curve di donna piegata dai lutti e dal dolore di vivere, che danno lustro ed energia a quello che poteva diventare, a due ore e venti di lunghezza, il solito classico cinepolpettone.
Belle anche le apparizioni di Emmanuelle Seigner nella parte di Titine, prostituta dal cuore d'oro che s'affeziona morbosamente alla bimba.
E di Caroline Sihol che veste con coraggio i panni di Marlene Dietrich, per mettere in scena il breve ma storico ed emozionante incontro tra le due voci più simboliche del dopoguerra. Applausi.
Il risultato è un mélo robusto e spesso commovente.
'Non, je ne regrette rien', ideale testamento artistico della Piaf, col suo splendido testo (debitamente sottotitolato dal distributore italiano) racchiude il significato di una vita intera.
No, niente di niente.
No, non rimpiango nulla.
Nè il bene che mi hanno fatto nè il male ricevuto...
Mi va tutto bene ugualmente.
No, niente di niente, non rimpiango nulla
perchè la mia vita
perchè le mie gioie
oggi cominciano con te...
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